Birdman è la biografia di Michael Keaton, un ex divo di Hollywood, diventato celebre grazie all’interpretazione dell’uomo uccello, che ormai stanco della fama, decide di adattare un’opera di Carver per il teatro e conquistare il prestigio che solo Broadway può dare. Birdman è un esperimento del tutto nuovo a questa generazione di cineasti, è paura di fare qualcosa di nuovo, ma provarci lo stesso. È una critica ai box-office facili, ai robottoni e agli attori in calzamaglia. Birdman è Mise en abyme dove gli attori non interpretano solo dei personaggi ma anche se stessi, è realtà mista a fantasia, è regia intima che fa vagare lo spettatore insieme a Riggan per i corridoi del teatro, divenendo parte integrante del film. Birdman è la storia di tutti noi che un giorno ci sentiamo cometa luminosa e quello dopo medusa spiaggiata. È un flusso di coscienza che tutto d’un fiato racconta il nostro desiderio di lasciare un segno, di mettere una firma. Birdman è il nostro tentativo di sentirci importanti, fregandocene di chi ci considera importanti. È il nostro grido disperato che vorremmo risuonasse in milioni di timpani, la recita della nostra vita, è come vogliamo apparire agli altri, è quello che non siamo ma che vorremo essere, è l’illusione di noi stessi che vogliamo mostrare al mondo. Birdman sono i social network, Birdman è YouTube, Birdman sono i quindici minuti di gloria profetizzati da Andy Warhol. Birdman è la corsa persa in partenza contro il nostro ego e le nostre ossessioni, Birdman è la voce che ci ricorda che siamo meno di un punto su un pezzo di carta igienica, è un Cigno nero che cambia per sempre la nostra visone delle cose. Siamo tutti noi che programmiamo la nostra vita e continuiamo a correre in tondo commettendo sempre gli stessi errori, senza renderci conto che solo quando ignoriamo quello che stiamo facendo, solo quando ci sentiamo nudi tra la folla, solo quando lasciamo spazio all’improvvisazione siamo veri.
Birdman è emotivo, è confuso, è arte.